Creato da saulferrara il 08/04/2012

Saul Ferrara

Diario di uno scrittore

 

 

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La porta del vento

Post n°8 pubblicato il 29 Giugno 2013 da saulferrara

La Porta del Vento

 

 

 

Barbara ed Ivan erano stremati per il troppo girovagare attraverso il dedalo di strette viuzze dell’isola. Si sentivano le gambe dure come fossero di legno, ma la stanchezza non aveva ridotto la gioia che  provavano per il fatto di poter essere, anche se per pochi giorni, dei turisti avidi di nuovi paesaggi. Le loro non floridissime finanze non gli consentivano di viaggiare spesso e così, quando avevano la possibilità di farlo, assaporavano ogni momento con la medesima, appagante soddisfazione che regala il sorseggiare una bevanda ghiacciata in piena estate. Quel piccolo fazzoletto di terra nel Tirreno, con le sue meraviglie naturali ed i caratteristici negozi e ristoranti, era del resto in grado di esaudire anche i desideri dei visitatori più esigenti. Barbara, completamente rapita dalla bellezza del posto, aveva ormai stabilito che l’isola sarebbe stata la loro meta “obbligatoria” negli anni a venire. Ivan, invece, era scuro in volto perché anche in quella occasione aveva sbagliato scarpe, preferendo ad un comodo paio da ginnastica dei mocassini scamosciati, e ormai non riusciva più a sopportare il bruciore delle vesciche.

<< Amore, ci fermiamo un po’? Ho i piedi gonfi, sembrano due cornamuse…>>, fece, esibendosi in una smorfia supplichevole.

<<  E va bene...>> accondiscese la giovane donna, assumendo un’espressione di finto rimprovero, come si fa con i bambini che fanno troppi capricci.

<< Non sono stanco, è solo che mi fanno male i piedi. La prossima volta scelgo anch’ io un paio di scarpe comode.>>, precisò Ivan, che ci teneva a non  perdere  la sua immagine di uomo forte.

<< Visto che dobbiamo fermarci, tanto vale mettere qualcosa sotto i denti . Che ne dici di quella trattoria? È così romantica…>>, suggerì Barbara, indicando un piccolissimo locale con quattro tavolini soltanto.

<< Volentieri, avevo giusto un languorino.>>, approvò Ivan, gonfiando le guance come se avesse la bocca piena di cibo per poi iniziare a  mimare l’atto di masticare

<< Tu, un languorino? La verità è che, quando si tratta di mangiare, sei sempre pronto>>, rimarcò Barbara, colpendo il suo ragazzo per scherzo con una serie di rapidi pugni all’addome.

Il ristorante si chiamava “La Locanda Del Corsaro” e l’arredamento era davvero in tema con il nome: vecchi timoni di legno e sciabole arrugginite coprivano le pareti, mentre due enormi forzieri, allineati e poggiati su dei ciocchi, venivano utilizzati, in modo davvero originale, come  bancone. Ivan e Barbara erano gli unici avventori e scelsero il tavolo più vicino all’ingresso per non smettere neanche per un istante di guardare l’incantevole panorama. Appena si accomodarono, un giovane, che dava la netta impressione di essere più avvezzo a maneggiare reti ed arpioni che stoviglie, con modi bruschi e spicci apparecchiò il loro tavolo in un batter d’occhio. I due fidanzati si scambiarono un sorriso d’intesa e chiesero all’improvvisato cameriere il menù, curiosi di vedere quali fossero le specialità di quel locale così caratteristico.

<< Mi dispiace, ma non ho un menù da mostrarvi. Noi serviamo solo insalate isolane. Sono qua apposta per elencarvi tutte le possibili varianti. >>, chiarì, con marcato accento, il ragazzo, che di seguito cominciò a passare in rassegna  un discreto numero di piatti, senza tralasciare di illustrare nel dettaglio tutti gli ingredienti di ciascuno, compresi quelli che di norma sono obbligatori come olio e sale, e che pertanto poteva benissimo evitare di ripetere ogni volta. Sia Barbara che Ivan ordinarono una “Circe”, scegliendola convinti più dal nome che dal contenuto, anche perchè non ricordavano neppure un decimo di quanto gli aveva appena snocciolato il cameriere. Il ragazzo non solo aveva parlato con la stessa ruvidezza che ogni suo gesto esprimeva, ma era anche ricorso spesso a termini strettamente  dialettali.

<< Speriamo che questa “Circe” sia  abbondante, il mio languorino si è trasformato in fame da lupi.>> disse Ivan mentre allungava una mano sul cestino del pane.

<< Amore, se l’insalata non ti sazia, prima di rientrare in albergo ci fermiamo in quella rosticceria che hai razziato ieri e ti prenderai qualcosa. Non voglio certo che il mio piccolo cucciolo muoia di fame!>>,  fece Barbara, accarezzandogli con tenerezza la testa rasata .

<< Non trattarmi come se fossi un gattino abbandonato! Lo sai che mi dà fastidio, soprattutto in pubblico. Io sono un lupo cattivo, non te lo scordare...>>, brontolò senza troppa convinzione Ivan.

<< Tu del lupo hai solo l’appetito!>>.

Proprio in quel momento il cameriere apparve da dietro il bancone con due piatti di coccio.

<< Ecco a voi, e buon appetito! Vi porto subito il vino. Scusatemi me ne ero dimenticato...>>, disse, appoggiando rumorosamente i piatti. Ma mentre  stava per voltarsi e tornare in cucina, una debole voce femminile, con una forte inflessione francese, lo bloccò.

<< Salve, Pino, io mi accomodo al solito posto.>>, disse una signora sulla sessantina, sedendosi al tavolo accanto a quello di Barbara e Ivan.

I due fidanzati si girarono per guardare la nuova arrivata e rimasero sorpresi nel notare quanto fosse affascinante. Quella persona, a dispetto dell’età, sprigionava una bellezza eterea ed irreale: sembrava una di quelle austere dame che si possono vedere ormai solo ritratte nei quadri d’epoca.  Indossava un semplice abito ècru ed un cappello di paglia a falde larghe. Non appena la donna se lo tolse per poggiarlo sulla sedia, si liberò una cascata di capelli bianchi, tra i quali rilucevano, come pepite d’oro sulla neve candida, alcune ciocche bionde. Il giovane tuttofare, invece di andare al tavolo per apparecchiarlo e prendere l’ordinazione, senza neanche rispondere all’avvenente cliente si avvicinò ad una minuscolo uscio di legno, che ad una rapida occhiata poteva apparire uno dei tanti accessori dell’arredamento, e lo colpì  energicamente con le nocche.

<< Zi’ Bartolo, c’è Madame.>>, disse con voce annoiata, come adempisse ad un ordine del quale però non riusciva a comprendere l’importanza. La porticina si apri quel tanto da consentire ad un bonario faccione barbuto di far capolino per un istante. L’uomo, evidentemente, voleva verificare di persona la presenza della donna attraverso quell’apertura, che sicuramente era stata recuperata dalla cambusa  di una piccola imbarcazione e sembrava esser messa lì proprio per quello scopo, visto che era posta esattamente davanti al tavolo occupato dall’affascinante dama. Dopo qualche minuto Zi’ Bartolo, zoppicando vistosamente, si diresse verso la bella signora, spingendo un carrello per le vivande. L’uomo doveva avere pressappoco la stessa età della donna che chiamavano Madame, ma era decisamente meno attraente: grassottello, basso di statura e  con un barbone incolto che gli arrivava fin quasi agli occhi, ricordava un vecchio orso ferito. Con insospettabile grazia apparecchiò per la nuova arrivata con una tovaglia di stoffa verde lago, la qual cosa sorprese non poco i due fidanzati, visto che la loro era di volgare carta, e con degli orribili quadretti rossi e bianchi. Poi, dal ripiano basso del carrello Zi’ Bartolo prese un piatto a forma di conchiglia, colmo di frutti di mare, e una flûte con dentro tre rose bianche.

<< Buon appetito!>>, augurò con un filo di voce alla signora; poi, con il suo passo claudicante, ritornò a testa bassa in cucina. La coppia, nel frattempo, aveva consumato l’insalata, ma non sembrava avere alcuna intenzione di andarsene: i due si scambiarono un rapido cenno d’intesa per aspettare che la donna uscisse dal locale e poter così chiedere al cameriere chi fosse e per quale motivo le venisse riservato un trattamento tanto speciale. Barbara, come giustificazione per potersi trattenere ancora a lungo, suggerì ad Ivan di ordinare un’altra insalata, e il ragazzo accolse con entusiasmo la proposta.

<< Amore, tu ne sai una più del diavolo.>> disse facendo l’occhiolino ed inclinando la testa in un modo così buffo da sembrare Popeye.

<< D’accordo, l’idea non sarà molto originale, ma almeno sapevo che avrei potuto contare sulla tua complicità. Mangiare è la cosa che ti riesce meglio in assoluto e quando capita che questa tua straordinaria dote può esserci utile tanto vale sfruttarla. Sei d’accordo con me?>> chiese la donna ricambiando l’occhiolino.

<< D’accordissimo, amore mio. Se è necessario mangio tutto quello che hanno in cambusa: lo sai che per me il dovere viene prima di tutto. Mangiare e obbedire sono il mio unico motto. Puoi stare tranquilla tesoro, le mie mandibole saranno sempre al servizio di una giusta causa. >>, concluse Ivan mentre, con la mano alzata, cercava di attirare l’attenzione del cameriere che stava comodamente seduto sopra il bancone senza far nulla. Il ragazzo notò subito il gesto di Ivan, ma solo dopo un po’, e senza muoversi di un millimetro, sbuffò un seccato <<Arrivo>>.

<< Pino, gentilmente puoi portarmi il conto?>>, chiese Madame: la sua voce sottile divenne un dardo acuminato diretto al fondoschiena del giovane, che balzò dal suo improvvisato trono per precipitarsi dalla signora. La donna si era soltanto limitata a sbocconcellare qualcosa e a sorseggiare un po’ di vino bianco, ma sembrava molto soddisfatta di quel pasto così frugale.

<< Ecco il suo conto, Madame.>>, le disse il cameriere, porgendole uno scontrino stropicciato che teneva nel taschino della camicia. Poi si voltò verso la cucina e si mise ad urlare, sguaiato come in venditore ai mercati generali:

<< Zì Bartolo! Zi’ Bartolo!  Madame sta andando via! >>.

L’uomo barbuto comparve immediatamente; camminava spedito e, per consentire alla gamba malandata di stare allo stesso passo dell’altra, era costretto a trascinarla aiutandosi con entrambe le mani. Ansimante raggiunse la signora quando questa, pagato il conto al cameriere, era ormai in piedi e pronta ad andarsene.

<< Madame, ha gradito?>>, chiese Zi’ Bartolo con una intonazione che voleva essere raffinata, ma risultò invece ridicola per quanto uscì innaturale e distante dal suo aspetto di uomo primitivo.

<< Si, come sempre.>>, rispose l’affascinante cliente che, nonostante continuasse ad ostentare una certa distaccata superiorità, sembrava gradire le galanti attenzioni del buon cavernicolo.

<< Mi permette?>>, domandò timidamente Zì Bartolo, evitando lo sguardo della donna.

<< Si, certo.>> rispose Madame, lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso compiaciuto.

Zi’ Bartolo, con le sue tozze mani tremanti, prese una rosa e ne spezzò il gambo; poi, con delicatezza, usando solo le punte delle dita, le sistemò una ciocca dei capelli dietro un orecchio e la fissò, usando la rosa a mò di fermaglio.

<< Signor Bartolomeo, lei è davvero un gentiluomo.>>, disse Madame, poggiando per un attimo la sua mano in quella dell’emozionatissimo Zi’ Bartolo.

<< Grazie, Madame.>>,  rispose l’uomo con una voce che vibrava di gioia. La donna si allontanò con lentezza, quasi stesse camminando su una passerella, lasciando Zì Bartolo a bocca aperta, immobile e attonito come una statua di sale, a guardarla sognante. Al giovane cameriere non era sfuggita la divertita partecipazione con cui i due fidanzati avevano osservato la scena, e con tono canzonatorio spiegò:

<< Sono ormai quarant’anni che mio zio ama quella francese.>>

<< Trentasei.>>, lo corresse Zi’ Bartolo con la sua vera voce, che suonò forte e robusta, da baritono.

<< Trentasei o quaranta fa poca differenza - aggiunse il ragazzo che, tutto ad un tratto, sembrava molto più  incline alla conversazione - Dovete sapere che Madame ogni estate viene sull’isola per una quindicina di giorni. E in tutto questo tempo mio zio non ha mai avuto il coraggio di dichiararsi.>>.

<< Quest’anno giuro che glielo dico! .>>, proclamò con tono austero Zi’ Bartolo, rivolgendosi al mare come se fosse quell’azzurra distesa d’acqua, e non il nipote, il suo interlocutore.

Lungo la stradina che portava all’albergo, Barbara non fece altro che parlare di Zi’ Bartolo e Madame.

<< Che storia bellissima, dovresti ricavarci un racconto.>>, suggerì al fidanzato.

<< No, il genere romantico non mi riesce bene, lo sai che la mia penna è abituata a soggetti di tutt’altra natura.>>, mentì Ivan,  che pur di farla contenta avrebbe scritto anche la sceneggiatura di una soap opera.

<< Ho un’idea!>> esclamò entusiasta la ragazza.

<< Sentiamo…>>

<< Il prossimo anno torniamo qui e vediamo se Zi’ Bartolo è riuscito finalmente a confessare a Madame che l’ama. Poi, tu dedicherai uno dei tuoi capolavori a questa vicenda. Che ne pensi?>>.

<< Okay, tra un anno esatto, stessa spiaggia e stesso ristorante.>>, acconsentì lui, prendendo la fidanzata tra le braccia .

 

 

 

Dodici mesi dopo Barbara e Ivan, fedeli alla loro promessa, sbarcarono sull’isola.

Non era ancora mezzogiorno quando entrarono nella “La Locanda Del Corsaro”.

Madame era seduta al suo solito tavolo, apparecchiato con la medesima cura della volta precedente.

<< Ci siamo persi il primo atto.>>, commentò Ivan guardando in direzione della signora francese.

<< Quello lo conosciamo già….È il finale che ci manca. Quando viene il cameriere, chiedigli se suo zio ha confessato a Madame di amarla.>>.

Il ragazzo non tardò ad arrivare e,  riconosciuti quasi subito i due commensali, li salutò con calore.

<< Siete rimasti stregati da questo posto, mi fa piacere!>>,

Ivan, incoraggiato dalla cordialità dell’inserviente, non perse tempo e fece un cenno con l’indice, invitandolo ad avvicinarsi ancora di più. Il giovane parve non stupirsi più di tanto per quell’ostentato atteggiamento da cospiratore e chinò la testa, avvicinandosi ad  Ivan.

<< Scusami, forse ti sembrerò un po’ invadente, ma siamo curiosi di sapere se alla fine tuo zio ha detto a Madame di amarla.>>, chiese Ivan a bassa voce, temendo che la signora, seduta poco distante, lo potesse sentire. Il cameriere si fece scuro in viso e, scuotendo tristemente il capo, rispose:

<< No, purtroppo non l’ha fatto l’anno scorso e non potrà più farlo. Mio zio è morto prima di Natale.>>.

Barbara e Ivan balbettarono imbarazzatissimi delle scuse e, ansiosi di cambiare immediatamente discorso, ordinarono due insalate “Circe”. Madame, nel frattempo, aveva messo i soldi del conto sotto il piatto e, presa una rosa dal bicchiere, stava per infilarne il gambo tra i capelli quando un forte fragore echeggiò nel piccolo ristorante: una violenta folata di vento aveva spalancato la porticina di legno dalla quale Zi’ Bartolo era solito ammirare la sua amata. In pochi secondi, l’irruente raffica, avvicinandosi al tavolo di Madame, si trasformò in un debole soffio che, prima di spegnersi del tutto,  come minuscole dita invisibili mosse delicatamente i capelli della donna.

<< Sei sempre così gentile…>> sussurrò lei. E, dopo essersi appuntata la rosa ad una ciocca  uscì.

Saul Ferrara

Racconto tratto dalla raccolta "I sogni dell'Ombra"

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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